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Incontro con Donatella Levi

  Alcuni giorni fa ho provato a dire alla mia sorellina di quattro anni di non chiamarmi più Ester, di non chiamare più la mamma con il nome di Stefania e di accettare di chiamarsi con un nome diverso. Dopo qualche istante d’esitazione, mi ha detto con una vocina: “Questo gioco non mi piace…”. Le stesse cose deve averle pensate anche Donatella Levi che a tre anni ha visto crollare tutte le certezze che aveva.

La sua avventura inizia nel 1942, quando la sua facoltosa famiglia ebrea inizia ad avere sempre più noie con la legge e nella vita sociale. Donatella dà la colpa di quelle sventure a un taglio che si era procurata tempo prima. La situazione, però, continua ad aggravarsi: parte Delfina, l’adorata balia, fugge il cane compagno di giochi. Sempre più spesso la bimba viene portata dai parenti e al riparo in cantina per sfuggire ai bombardamenti e infine i suoi genitori perdono il  lavoro (a causa delle leggi razziali accettate ed applicate anche in Italia nel 1938).

Tutti sono più fragili, specialmente la mamma, molto assente nella vita della figlioletta, e perciò la bimba è molto triste e non capisce perché si parli di nemici e in un’altra lingua per di più! Così la famiglia di Donatella e i suoi nonni decidono di scappare, dicendo alla bambina che la fuga è “per la sua felicità”, ma la piccola non capisce il significato di quelle parole.

Per fuggire senza dare nell’occhio con valigie varie, vengono messi addosso a Donatella più paia di vestiti. L’autrice vede cambiare spesso il soffitto sopra di lei a seconda della casa che la ospita: prima vede i bachi da seta che la spaventano tanto, poi l’uva e infine i salami.

Durante questo lungo viaggio molte sono le nuove conoscenze, come ad esempio il sig. Ottolenghi (che lavora alla radio), le sue figlie, un cugino, il sig. Arnaldo… Questi personaggi  appaiono e si incrociano nella vita della bambina  come sogni sfuocati perché, appena si illude di aver trovato qualcosa e/o qualcuno, subito esso spariva con l’esigenza di cambiare abitazione.

Dalla casa di campagna del signor Ottolenghi si sposta ad Arezzo nell’abitazione di un cugino. Qui tra i vari dialoghi riportati dal libro mi ha colpito il seguente: “…Vedrai che il buon Dio ci aiuterà!”. “Sì, ma le religioni sono un bel problema…”. Questo mi ha fatto capire che la religione può diventare  la scusa per un’ingiusta persecuzione.

Dalla casa del sig. Arnaldo (che Donatella deve chiamare “zio”) la famiglia si sposta verso Roma dove la povera bimba è obbligata a non chiamare più la mamma Silvana, ma Claudia e lei stessa deve fingere di chiamarsi Rosabianca (e in seguito Maria). Qui Donatella compie un gesto molto significativo per una bimba della sua età: scrive i veri nomi dei parenti sulla carta e poi li avvolge in un pezzo di vetro e li sotterra, fa questo atto per non perdere l’identità e la speranza.

Ogni parente ha un compito ben preciso nei confronti di Donatella. Il nonno, oltre a farle visitare la città, le insegna a scrivere tra le righe del giornale, la zia la fa parlare e la mamma le insegna “magie”; a Roma la bimba ha un bellissimo rapporto con la mamma e con lei condivide tutto nella giornata, anche il letto. Sono proprio le magie che danno la forza a Donatella di superare la debolezza causata dal tifo e sono loro che le fanno apparire il Papa con un mago potente che però non vuole usare i suoi poteri per aiutarla.

Un giorno un uomo le chiede il nome e Donatella, nel panico, risponde chiedendogli se vuole sapere il nome vero o quello falso; quest’affermazione le costa cara perché deve nuovamente trasferirsi.

Finita la guerra, la famiglia ritorna a Verona: è il  1946, Donatella ha sette anni e percepisce la vita come un teatro le cui scene sono in continuo mutamento. La vita riprende normale: i genitori tornano al loro lavoro di avvocati, il nonno riprende a corteggiare le ragazze e, purtroppo, la mamma “fa qualche scappatella”. Ora gli adulti parlano senza camuffare il linguaggio. Infatti Donatella sente parlare di deportazione, camere a gas, nazisti, sterminio, parenti non “tornati”… e, nonostante lei cerchi sul vocabolario il significato di quelle “strane” parole, si accorge che le spiegazioni riportate non la soddisfano. Ora non ha più nessuno che le dedichi attenzione, tranne la nonna e Giovanni (l’autista). Donatella si trova senza legami affettivi perché la sua realtà familiare è molto superficiale, giustificata forse dal fatto che, dopo tante paure, gli adulti si sfogano in questo modo: cercando una falsa libertà?

Per volere della mamma Donatella inizia a frequentare la chiesa cattolica, anche se non capisce molto l’omelia perché la Messa è in latino, ma quel che coglie è che la colpa degli Ebrei è quella di aver ucciso Gesù 2000 anni prima. A quel punto la bimba si chiede perché non ci sia stato perdono da parte dei cristiani che predicano proprio la remissione delle colpe. Donatella è anche spaventata dalle parole del sacerdote il quale dice che “gli infedeli bruceranno nel fuoco eterno”. La bimba ha paura per le sorti dei famigliari, così fa una sorta di “patto” con Dio, dicendo che lei avrebbe continuato a pregare in cambio della conversione dei parenti (non tollera l’idea di essere “divisa” da loro dopo la morte).

In questo periodo Donatella trova una amica, Silvana: le due si divertono molto, ma all’improvviso scatta per Donatella il divieto di vedere l’amica perché il padre è comunista. Questo ci fa capire che la persecuzione non è finita, anzi alla persecuzione degli Ebrei si è sostituita la paura per il comunismo. Ogni età ha le sue paure, i suoi mostri da combattere, anche se nel tempo  acquistano forme diverse (apartheid, immigrazione…).

Per me lo scopo del libro è di farci capire gli effetti terribili della “paura per i diversi”; l’autrice vuole aiutarci a non cadere negli stessi errori del passato. Il libro mostra chiaramente come un’esperienza simile, anche se vissuta in tenera età, non sia stata dimenticata, anzi essa ha lasciato una traccia indelebile in tutti quelli che l’hanno vissuta.

L’uomo è spesso crudele con i suoi simili, riuscendo a procurare dolore e sofferenza. Noi giovani dobbiamo impegnarci ad interrompere la catena dell’odio, evitando che l’uomo sia persecutore di altri uomini. La tolleranza e la solidarietà devono essere gli obiettivi vincenti.

Ester

L’esperienza dell’olocausto vista con gli occhi di una bambina

Per il progetto leggere 2005 abbiamo letto in classe il libro di Donatella Levi: "Vuole sapere il nome vero o il nome falso?".

Il 10 maggio l’autrice è venuta a scuola per testimoniare dal vivo la sua esperienza di quando era bambina durante la dittatura fascista: aveva solo 2 anni quando dovette cominciare a nascondersi, era piccola, troppo piccola per capire perché tutte quelle fughe notturne e perché i Tedeschi ce l’avessero proprio con loro.

Donatella Levi ci ha fatto capire l’importanza di lasciare una traccia alle generazioni future; infatti tra pochi anni i testimoni, che hanno vissuto sulla loro pelle gli orrori inflitti dai Tedeschi, non ci saranno più. Ci ha anche detto che è impossibile perdonare tutte quelle persecuzioni compiute in passato.

Lei, pubblicando il libro, ha perso i contatti con tutti i suoi famigliari perché essi non volevano che la loro storia venisse conosciuta. Ci ha anche raccontato che l’anno scorso ha "rivissuto" un’esperienza di odio nei suoi confronti da parte dei vicini di casa che avevano tentato di avvelenare il suo cane perché non gli andava giù il fatto di abitare vicino a una Levi.

Questo incontro mi è piaciuto perché ho potuto sentire la testimonianza storica da parte di una donna che in prima persona ha vissuto l’esperienza di quegli anni tragici.

Marta

  Numero 2
maggio 2005